martedì 20 ottobre 2015

il senso della nostra vita

A volte mi viene la sensazione che ci stiamo allontanando sempre di più da una percezione naturale della vita, soprattutto riguardo alla sua durata, che non è infinita.
Mi capita sempre più spesso di incontrare persone che vivono esclusivamente nel presente, come se la vita fosse tutta lì e il passato e il futuro non avessero la minima importanza. Altre vivono esclusivamente nel futuro, pensando o immaginando continuamente quello che potrà accadere loro (di bello o di brutto), ma trascurano di prendersi cura della loro realtà immediata. Altre vivono esclusivamente nel passato, pensando ossessivamente sempre agli stessi rimpianti, ai medesimi episodi di vita vissuta, ai presunti sbagli fatti o alle gioie vissute che non ritorneranno mai più.

Raramente incontro qualcuno che è serenamente cosciente di essere proprio lì dove temporalmente è, nel presente, con la consapevolezza di aver avuto un passato che, bello o brutto che sia stato, però è passato (e magari gli ha insegnato anche tante cose importanti), ricordandosi che davanti a sè ha un futuro, che potrà cercare di indirizzare proprio là dove desidera, utilizzando le esperienze positive e negative vissute in precedenza.

Siamo troppo ossessionati dal confronto con gli altri, siamo troppo dipendenti dalla ricerca ossessiva del benessere e diamo troppa importanza alla perfezione del nostro corpo e delle nostre prestazioni. 
Il confronto con gli altri spesso ci fa stare male e, per primeggiare, nascondiamo a noi stessi le nostre ombre (che continuano però a farci paura), invece di pacificarci con esse, di integrarle in un nostro modo più naturale di stare al mondo.

Non riusciamo più ad accettare di avere caratteristiche fisiche e mentali diverse da quelle degli altri, di avere una nostra individualità, che non potrà essere solo la somma di un insieme di perfezioni. Vorremmo eliminare i nostri difetti, primeggiare in ogni cosa, essere i numero uno, ma questa ricerca ci toglie energie, a volte ci schianta e, alla fine, ci deprime.
Si dà sempre meno valore alle differenze individuali, ai diversi ritmi di sviluppo dei bambini, ad esempio, che devono crescere rispettando parametri standard di prestazioni in tempi prestabiliti, pena la certificazione sempre più diffusa di strutture deficitarie di personalità.

Su tutti noi aleggia lo spettro dell'emarginazione: se non si è all'altezza degli altri, si finisce male.
Si arriva così a valutare noi stessi solamente in base ai risultati, alle competenze raggiunte, e dopo anni ci si accorge magari che non si riesce a capire che senso ha avuto la strada che abbiamo scelto, le decisioni che abbiamo preso in nome della ricerca del successo o del benessere. 
A volte ci accorgiamo di esserci allontanati dalla nostra essenza, dalla nostra naturalezza, e ci sentiamo ansiosi, tristi o depressi.
Inizia allora una specie di corsa a ritroso, come se cercassimo di tornare indietro su una scala mobile, per andare a recuperare il senso della nostra vita, ciò che siamo veramente, che per tanto tempo avevamo trascurato.

Se possiamo, quindi, cerchiamo sempre di rimanere in contatto con noi stessi, con la nostra autenticità, perchè è solo dentro di noi che possiamo trovare il senso del nostro stare al mondo, che spesso cerchiamo, a lungo e inutilmente, esclusivamente nel mondo esterno.  

lunedì 5 ottobre 2015

in cosa consiste una psicoterapia?


L'essenza di una psicoterapia o di un'analisi, a mio parere, consiste in questo: che progressivamente si stabilisce un sincero rapporto umano tra il paziente e il terapeuta, in virtù del quale il primo si sente libero di raccontare il più possibile di sè (ciò che veramente pensa, ciò che veramente sente, in una parola, le sue verità vere), mentre il terapeuta deve riuscire a fare tre cose: non spaventarsi di ciò che il paziente gli racconta, rimanendo sinceramente fiducioso sulla possibilità di un buon esito della terapia; distinguere sempre meglio cosa fa parte dell'autenticità psichica del paziente e, infine, trovare i modi e i tempi giusti per aiutare il paziente ad arrivare ad avere sempre più comprensione e affetto per la propria essenza e la propria vita (comprese le difficoltà). 
In definitiva, per come lo intendo io, il lavoro psicologico è una specie di allenamento a diventare sempre più consapevoli della propria autenticità e ad acquisire il coraggio di viverla il più possibile nella propria vita quotidiana.
Nella misura in cui ciò avviene, cresce il rispetto per gli altri e il desiderio di collaborare con loro nella realizzazione di mete comuni.