sabato 29 dicembre 2012

una poesia per il 2013


Opera di Matteo Zanfi
E' una poesia scritta da una donna e parla del femminile, ma si potrebbe immaginare, con parole diverse ma di senso uguale, anche dedicata al maschile.
Mi sembra adatta per il nuovo anno, perché ci ricorda il coraggio di essere ciò che siamo veramente e di cercare di vivere dei rapporti paritari, fondati sul rispetto e la valorizzazione di sé e degli altri, e questo è il mio augurio speciale a tutti per il 2013.

Sono stata cavalla
mucca farfalla
Sono stata una cagna
una vipera un'oca
Sono stata tutte le cose mansuete
e ampie della terra
il vuoto del corno che chiama alla guerra
l'oscuro tunnel dove sferraglia il treno
la caverna a notte dei pirati
Sono stata quella che sempre deve essere là
una certezza quadrata
Sono stata tutto ciò che poteva servirti
a prendere il volo
sono stata anche tigre
cima e voragine
strega
sacra e terribile bocca dentata
Come avresti potuto altrimenti
essere tu il cacciatore
l'esploratore
l'eroe dalle mille avventure?
Sono stata persino terra e luna
perché tu potessi metterci
il piede sopra
E adesso
questa ruota si è fermata
devo adesso fare una cosa
mai fatta forse mai esistita
una cosa anche per te ma
soprattutto per me
per me sola
tanto autentica e nuova
che trema persino il volto della vita.

Bianca Garufi

venerdì 21 dicembre 2012

buon natale


Auguri di buone feste.
Che siano davvero vostre, che possiate stare piacevolmente in compagnia di voi stessi e delle persone amate.
Che siano occasione di riposo, svago e divertimento, di pensieri sereni e di fruttuose riflessioni, attendendo il nuovo anno.


mercoledì 19 dicembre 2012

fretta e superficialità


Mi colpisce molto la tendenza, che mi pare sempre più diffusa, a generalizzare ed estremizzare tutte le situazioni che la vita ci pone di fronte; tendiamo a voler risolvere tutti i problemi radicalmente e in pochissimo tempo, evitando la fatica di approfondire pazientemente le questioni.
Le relazioni sono sempre più vissute sulla base del principio del tutto-e-subito; il distinguere le sfumature, il prestare attenzione alla complessità degli eventi, il dare tempo al tempo, il guardare le cose anche da altre angolazioni, non sembrano più cose tanto comuni.
Il verbo pretendere è uno dei verbi più usati, sia verso noi stessi, sia nei confronti degli altri, mentre il riflettere su di sè, l'ascoltarsi, il cercare di dipanare il groviglio di fili che spesso abbiamo dentro, non sembrano occupazioni molto frequentate, soprattutto se le risposte autentiche tardano ad arrivare.

Cresce la fretta e crescono le delusioni, le cose fatte male e con noncuranza, che poi non reggono nel tempo. La durata delle cose è ricercatissima, ma sembra che sia una variabile indipendente, o che dipenda da un colpo di fortuna, che non possa essere immaginata come il frutto di una dedizione e di una cura che richiedono impegno.
Ci siamo abituati a premere troppi interruttori e ad ottenere subito dei risultati straordinari; ci siamo dimenticati che i progetti importanti vanno portati avanti con la forza della passione e la costanza dell'impegno quotidiano, anche a lungo termine.
E' vero che, coi mille impegni che tutti abbiamo, di tempo veramente libero ne rimane poco, ma la fretta e la superficialità sono spesso cattive compagnie. 
La psiche è una realtà molto complessa e i tentativi di percorrere delle scorciatoie per arrivare con minore fatica alla mèta, molto spesso non danno buoni risultati, anzi, quasi sempre ci fanno perdere moltissimo tempo inutilmente.

mercoledì 12 dicembre 2012

apocalisse o nuovo inizio?

Ho trovato interessante che qualcuno abbia pensato di sostituire all'ipotesi dell'apocalisse legata alla presunta profezia dei Maya, quella di un possibile nuovo inizio.
Posta così la questione mi sembra decisamente più interessante, perchè, almeno a livello di immaginario collettivo, potremmo prendere tutti spunto da questa presunta fine del mondo per immaginare con il 2012 la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra, riconducendo il tema a una questione vitale, posto che la vita sempre consiste nella fine di qualcosa che ha compiuto il suo ciclo e nell'inizio di qualcosa di diverso.
Per conto mio, amo immaginare che questo nuovo inizio riguardi i temi del valore dei limiti e della ricerca di senso.
Mi piacerebbe che avesse terminato il suo ciclo vitale l'idea collettiva da tempo dominante di un progresso infinito senza limiti, dell'aumento della ricchezza come metro per misurare il benessere delle persone, dell'economia come variabile indipendente rispetto alla politica e all'etica, entrambe da mettere in relazione alla ricerca del bene comune.
Ma soprattutto mi piacerebbe che si volesse tutti un po' più riflettere su ciò che dà realmente senso alla propria vita, a quanto il benessere individuale sia da mettere in relazione a quello degli altri.
Perfino la pur importantissima ecologia, senza una chiara consapevolezza dei fini per i quali la vita vale la pena di essere vissuta e senza la sincera accettazione dei limiti naturali che sostanziano la nostra umana esistenza, non ha un valore di per sè assoluto.
Ad un nuovo inizio si può arrivare in modo anche graduale, anzi forse sarebbe meglio che fosse così. L'importante è desiderare veramente un cambiamento di stili di vita, non in forza di un dovere imposto dagli eventi, di una ineluttabile necessità della Storia, ma come frutto di una autolimitazione avvertita come la cosa realmente migliore per sè e per gli altri, un progetto di vita nuovo che trovi il suo senso, da un lato nell'abolizione degli accumuli eccessivi e degli sprechi e dall'altro, nell'incremento della responsabilità personale e della solidarietà verso gli altri, in modo particolare verso coloro che, rispetto a noi, vivono in condizioni di maggior disagio.  

giovedì 6 dicembre 2012

Open di Daniel Ezralow

Non amo particolarmente i balletti ma Open, l'ultimo spettacolo di Daniel Ezralow, che è stato organizzato al Teatro Pavarotti di Modena dalla sede locale della Gioventù Musicale Italiana, è davvero affascinante.
Pur trattandosi di danza moderna, la colonna sonora è classica: Bach, Beethoven, Chopin, Debussy, ecc. e la cosa straordinaria è che sembra musica scritta appositamente per il balletto. I movimenti dei ballerini e le coreografie si integrano perfettamente coi brani di musica classica scritti due secoli fa, provocando un effetto difficile da immaginare: il classico e il moderno insieme, integrati perfettamente: la modernità del classico.
Lo spettacolo è prevalentemente giocoso, per niente noioso, sempre vivo e vitale, allegro e pieno di fisicità atletica; rappresenta spesso la nostra realtà quotidiana ma sempre con tanta fantasia: uomini d'affari che corrono nevroticamente, grattacieli e autostrade che scorrono sullo sfondo, qualche momento di intimità sulle note di un Notturno di Chopin e molti momenti di pura comicità, a volte esilarante.
I colori sono vivaci, i ballerini spesso hanno costumi che rappresentano tutto lo spettro dei colori, tipo arcobaleno o bandiera della pace.
Il balletto è costituito da una quindicina di siparietti che si susseguono senza interruzione per circa un'ora e mezza, lasciando il pubblico stupito e in attesa del successivo.
Lo definirei un balletto psicosomatico, perchè le coreografie rappresentano spesso tematiche psicologiche e  acquistano un valore simbolico, trasmettendo emozioni che fanno anche pensare: questo spettacolo è, a mio parere, un perfetto esempio di come il corpo possa esprimersi con lo stesso linguaggio della psiche, di come il corpo sia tutt'uno con la psiche. 
Una signora che era nel palco con me si lamentava che il marito, refrattario ai balletti, non aveva voluto venire; sono convinto che se fosse venuto, avrebbe apprezzato lo spettacolo pure lui.

A Milano, Teatro degli Arcimboldi, 18-20 gennaio 2013;
A Torino, Teatro Colosseo, 30 gennaio 2013;
A Roma, Auditorium Conciliazione, 1-2 marzo 2013. 

domenica 2 dicembre 2012

omosessualità



Tadzio nel film Morte a Venezia (1971)
Molti eterosessuali hanno timore dell'omosessualità e la condannano; alcuni la immaginano come malattia dannosa, fonte di mali individuali e sociali.
In realtà, l'omosessualità è semplicemente la tendenza a preferire nelle relazioni affettive e sessuali le persone del proprio sesso. Tutto lì, non c'è altro. Per il resto gli omosessuali sono esattamente come noi eterosessuali, uguali in tutto e per tutto. E soffrono, esattamente come noi, quando non siamo riconosciuti nella nostra autenticità.
Certo, c'è tutto un immaginario colorato che prende spunto dagli omosessuali più esibizionisti e dai gruppi pubblicamente più rivendicativi, che riduce il tema dell'omosessualità a rivista di avanspettacolo, a stranezze e bizzarrie da condannare.
Ma non è lì il centro della questione; anzi, a mio parere, quello è il risultato dell'ostracismo, della censura e dell'emarginazione cui noi condanniamo quotidianamente gli omosessuali, consciamente o inconsciamente: un'emarginazione che ha anche aspetti sociali, culturali e istituzionali.
Credo che se gli omosessuali fossero trattati da tutti, istituzioni comprese, alla stessa stregua degli eterosessuali, ci sarebbe in molti di loro meno rabbia, meno necessità di essere eccessivi per farsi notare, molto meno orgoglio da gettare con sfida in faccia a noi eterosessuali.
La realtà omosessuale è frustrante e dolorosa a causa del fatto che essi non possono mostrarsi pubblicamente, che devono camminare per strada reprimendosi, non possono abbracciarsi, tenersi la mano pubblicamente, non possono guardare liberamente gli altri con desiderio, quindi hanno anche difficoltà nel riconoscersi. Hanno locali-ghetto in cui si trovano tra loro, ma non c'è la possibilità di una manifestazione libera e pubblica della loro omosessualità: temono di creare scandalo, e tutto questo non perchè abbiano commesso atti illeciti o violenti, ma semplicemente perchè per natura sono fatti così.
Quando mio figlio andava alle elementari, c'era un suo compagno che stava sempre con le femmine, che voleva vestire come le femmine, che sentiva di essere diverso dagli altri maschi. Quale sarà il futuro di quel bambino, rispetto a tutti gli altri? E' una sua colpa? Perchè deve pagare un'inclinazione naturale con una vita intera da emarginato?
Sono convinto che se gli omosessuali potessero sancire col matrimonio le loro unioni sarebbero molto più responsabilizzati, inseriti nella comunità alla pari, si vivrebbero meno come realtà emarginata e si sentirebbero più normali. Rinuncerebbero quindi alle provocazioni, ai gesti eclatanti che vogliono semplicemente dire: siamo qui, ci siamo anche noi e stiamo male, ci trattate male e noi ve lo gridiamo in faccia. Guardateci, non fate per l'ennesima volta finta di niente.
Se si manda continuamente a qualcuno il messaggio che non è normale, che non è naturale, come si può pensare che questo poi si comporti con normalità e naturalezza?